E DOPO TRENTO… ROMA!/4

(1948-1965)

di Oreste Paliotti

Se Trento è stata la “culla” dei Focolari, la tappa successiva, quella della “presentazione al Tempio” per così dire, non poteva essere che Roma. Per la sua vocazione cosmopolita, la Città Eterna costituiva il necessario trampolino di lancio per l’espansione mondiale del Movimento; e quale centro della cristianità doveva dare il suggello della gerarchia ecclesiastica a questa nuova opera sorta in seno alla Chiesa. Quelli che ora andiamo a scorrere in sintesi sono appunto gli anni “eroici” in cui l’ideale dell’unità ha messo radici nella Città Eterna. In questa quarta puntata passiamo in rassegna il 1951

1951. I tre “rami”

«Gli anni 1950-1951 segnano l’ingresso in focolare delle prime focolarine romane: anche Marisa Cerini entra in focolare a Roma, in un giorno di novembre del 1951. Lascia la famiglia senza un permesso esplicito dei genitori». Così Nel raggio dell’amore, la sua biografia scritta da Maria Caterina Atzori.

Nel febbraio 1951 approda al focolare, tramite la sua ex alunna Marisa Cerini, don Giuseppe Savastano, religioso pallottino. Col nome nuovo di Micor (= Misericordia) sarà un esempio di perfetto religioso in totale unità con Chiara, che alla sua morte ne scriverà un grande elogio. «Micor – racconta padre Valentino Ferrari – fu davvero la “sapienza” della “Lega”, il Movimento dei religiosi», di cui sarà punto di riferimento allorché, nel 1960, la Cei interverrà con provvedimenti restrittivi (divieto ai focolarini di incontrare i sacerdoti e i religiosi, eccetto gli assistenti nominati ad hoc).

Da Viale XXI Aprile Chiara, la cui salute precaria richiede un soggiorno più appartato, va ad abitare in Viale dei Quattro Venti, presso Porta San Pancrazio (quartiere Monteverde). Nello stesso anno vengono in evidenza, fra l’altro, i “disegni” di tre delle prime focolarine. In Graziella Chiara vede rappresentata l’espressione esterna del suo Ideale (l’apostolato, la comunicazione), in Giosi quella interna (la vita intima dei focolari: dall’economia alla salute, all’abbigliamento, alla preghiera…), mentre Natalia rappresenta l’unità tra le due. I corrispondenti “disegni” dei focolarini sono rappresentati da Giulio, Antonio ed Enzo. È’ una prima intuizione dell’unico amore divino che tende a concretizzarsi in tanti aspetti, come un fiore ancora in boccio che aspetta di aprirsi in vari petali.

Altra novità in maggio: durante un periodo di riposo a Fai della Paganella, nel Trentino, Chiara invita Pasquale Foresi a portare con lei il ”peso” del Movimento in continuo sviluppo, facendosi carico della nascente sezione dei focolarini. Avviene così la distinzione tra parte femminile e maschile. Si delineano tre “rami”: primo (focolarine), secondo (focolarini, con struttura analoga a quella della sezione femminile) e terzo (focolarini sposati). Nasce così l’Ordine di Maria sul modello trinitario e della Casa di Nazareth. E’ il “triplice fior” di una canzone del tempo, in voga nell’ambito focolarino.

Visitando la Roma di Chiara: un itinerario

Piazza San SilvestroCon l’inizio degli interrogatori al Santo Uffizio, iniziarono anche le grandi prove spirituali per Chiara che, tenuta al segreto, non poteva condividere neppure con i più intimi il tenore di quei colloqui, anzi non doveva neppure far intuire dove lei si recava. A tal fine, la mattina, per raggiungere il palazzo vaticano, seguiva un determinato percorso prendendo due tram per far perdere le sue tracce. Prima tappa a San Silvestro: una piazza che per molto tempo – al dire di Giulio Marchesi –, nello stato d’animo in cui si trovava, le apparì «tutta chiazzata di sangue».

Chiesa del Gesù – È la chiesa dei gesuiti per eccellenza, perché legata alla memoria della presenza romana di sant’Ignazio di Loyola, di cui si ammira anche – all’interno dell’unica maestosa navata – il sontuoso sepolcro barocco. «Da sant’Ignazio – scrive Chiara – ho appreso cose meravigliose». E dopo aver enumerato l’importanza che avevano per il santo spagnolo vivere l’attimo presente, far bene le pratiche di pietà, lo zelo per fare la volontà di Dio, il distacco dal proprio lavoro o ufficio, conclude: «Ho dunque trovato un nuovo amico: sant’Ignazio, che mi conferma nella mia vita ed offre a me e a noi uno dei migliori frutti del dono che ha ricevuto da Dio non solo per sé, ma per molti: gli Esercizi spirituali». Questa chiesa rappresenta una delle tappe da cui Chiara muoveva per recarsi da sola in Vaticano, al tempo dell’inchiesta del Sant’Uffizio, iniziata nel 1951. Racconta Ada Schweitzer detta Vitt: «Chiara era stata chiamata dal Sant’Uffizio, ma le era stato proibito perfino di dire che ci andava. La mattina ci alzavamo, prendevamo tutte insieme il tram fino a piazza San Silvestro (non si andava mai con la macchina) e da lì Chiara ci accompagnava alla chiesa del Gesù, dove ci diceva: “State qui a pregare, non muovetevi finché torno a prendervi”. Perché non dovevamo vederla mentre prendeva il 64 per andare al Sant’Uffizio. Quando era sicura che non guardavamo lei ma il tabernacolo, usciva e andava verso il Vaticano. Lo sapevamo, anche se non dovevamo saperlo. La vedevamo tornare piangente, col viso distrutto, ma non veniva fuori una parola, niente. Chiara era di una segretezza incredibile! Riprendevamo il tram e tornavamo  a casa».

Viale dei Quattro VentiSiamo nel quartiere Monteverde. Nel 1951, assieme a due o tre compagne Chiara abitò in questa via in un appartamentino di due stanze e cucina messole a disposizione dall’on. Gaetano Ambrico: era il pied-à-terre a Roma di questo parlamentare originario di Potenza, grande amico di Igino Giordani e dei focolarini. In quel periodo, per la dolorosa sospensione dovuta all’inchiesta del Sant’Uffizio, Chiara era fortemente provata e avvertiva come non mai il peso delle proprie mancanze e imperfezioni. Ricorda Eli Folonari: «Riferendosi agli scritti di san Giovanni della Croce, ci diceva che la persona che viveva la “notte oscura dello spirito”, vedendosi peccatrice, vorrebbe essere piuttosto senza libertà, come un animale che, obbedendo alla legge naturale, non rischia di offendere Dio; o, addirittura, come un insetto: “come un ragno”, dice il santo carmelitano. Chiara, vedendo dalla finestra della sua casa in via dei Quattro venti delle greggi di pecore al pascolo, aveva desiderato essere come una di loro. E noi, come potevamo, partecipavamo a questo suo infinito turbamento spirituale». Sempre a proposito di questo piccolo focolare Eli riferisce un episodio del 1953: «Erano anni in cui non era facile salvaguardare l’intimità dei focolari, che erano aperti ad ogni genere di persona. Ne capitavano davvero d’ogni tipo. Ma l’amore del prossimo ci faceva fare di tutto, anche affrontare situazioni rischiose. Ad esempio, erano arrivati due coniugi che conoscevamo già da un po’. Litigavano fra loro, mentre Gis, imperterrita come sempre, cercava di calmarli. Lui brandiva minacciosamente una pistola. Dalla stanza accanto sentivo che urlava alla moglie: “Prima ammazzo te, poi mi ammazzo io!”. Al pensiero che poteva commettere veramente una pazzia e sparare a tutti, mi sono intromessa anch’io, per salvare almeno Gis. Dopo un’ora e mezzo, però, è stata Gis a convincerlo a consegnarle la pistola».

Via Piemonte«Nei primi tempi della vita del focolare – ricorda Giulio Marchesi – Chiara ci vedeva tutte le settimane per dirci “cose belle”, in modo particolare la domenica, quando si andava da qualche parte dove si potesse stare insieme tranquilli e parlare». Oltre ad essere ingegnere della Romana Gas, Giulio aveva l’incarico di commissario ministeriale dell’Istituto Nazionale di previdenza per le aziende private del gas, la cui sede era in una bellissima villa in via Piemonte, n. 60 (rione Ludovisi). Tale incarico gli consentiva l’uso della sala del consiglio di amministrazione. «Gli impiegati – racconta –, pur di diversi partiti, mi volevano bene e perciò potevo andare liberamente la domenica a fare i raduni con Chiara nella sala del consiglio, anzi mi veniva anche lasciato l’usciere per aprire l’istituto e preparare la sala». In quegli incontri domenicali – aggiunge Eli Folonari – «Chiara dapprima leggeva una meditazione, poi faceva a ciascuno la cosiddetta “ora della verità”, facendoci intervenire tutti, mettendo in luce pregi e difetti. Solo qualche volta diceva a qualcuno: “Sei così ‘piccolo’ che non posso dirti niente”. Ma proprio questa era la nota più grave: significava che si doveva crescere nell’amore in modo da essere degni della correzione fatta per amore».

Colosseo Il Colosseo o Anfiteatro Flavio fu iniziato dall’imperatore Vespasiano nel 72 d. C. e finito da suo figlio Tito nell’80. Nella sua costruzione furono impiegati gli ebrei prigionieri. Vi fu innalzata da Benedetto XIV una croce per consacrare il luogo dove tanti martiri confessarono la loro fede. Ad esso Chiara ha dedicato questi pensieri: «Qui entravano cantando inni al Signore. Qui le fiere li sbranavano. Qui il sangue correva come pochi decenni prima il sangue di Cristo aveva bagnato le zolle del Calvario. Il loro gaudio ha detto agli uomini di tutti i secoli che la vita è un passaggio e che l’odio scatenato contro coloro che vivono il Vangelo non può spegnere la fiamma dell’amore: perché anzi essi benedicevano chi li malediceva, pregavano per coloro che li perseguitavano, morivano per chi li uccideva perché anch’essi come loro un giorno conoscessero la luce ed entrassero gloriosi in Paradiso». Padre Bonaventura Marinelli da Malè, francescano cappuccino, fu uno dei primi religiosi ad aderire al Movimento. A Roma dall’ottobre 1948 all’ottobre 1950 per gli studi biblici, cita il Colosseo tra i luoghi dove si dava appuntamento con altri studenti di vari ordini, impegnati a vivere l’Ideale di Chiara: «Ogni giovedì pomeriggio ci incontravamo insieme al Colosseo, a Villa Borghese, alle Catacombe o altrove. Ci comunicavamo le esperienze e le notizie, leggevamo qualche lettera o scritto di Chiara. Ci nutrivamo delle sue parole, dei fatti e delle esperienze che ne confermavano la sapienza evangelica. Con un effetto a livello spirituale di sempre maggiore fede nell’Amore di Dio, una sempre maggiore attenzione alla sua volontà, una sempre più pronta capacità di riconoscere e vivere Gesù crocifisso e abbandonato nelle varie difficoltà, e quindi un sempre più profondo senso di pace, di gioia, di ottimismo e una volontà sempre più viva e concreta di vivere e operare per l’unità».

(continua)

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