(1948-1965)
di Oreste Paliotti
Se Trento è stata la “culla” dei Focolari, la tappa successiva, quella della “presentazione al Tempio” per così dire, non poteva essere che Roma. Per la sua vocazione cosmopolita, la Città Eterna costituiva il necessario trampolino di lancio per l’espansione mondiale del Movimento; e quale centro della cristianità doveva dare il suggello della gerarchia ecclesiastica a questa nuova opera sorta in seno alla Chiesa. Quelli che ora andiamo a scorrere in sintesi sono appunto gli anni “eroici” in cui l’ideale dell’unità ha messo radici nella Città Eterna. In questa sesta puntata passiamo in rassegna il 1953
1953. Udienza da Pio XII. “Chiaropoli”, città della luce. Consacrazione di Igino Giordani (Foco)
Dopo due colloqui con la Folonari ed altre focolarine, convintosi che «questa è opera di Dio», il futuro Paolo VI incontra Chiara il 28 febbraio 1953: diverrà il più autorevole “difensore” dei Focolari.
Il 21 maggio di questo stesso anno, grazie all’interessamento di mons. Montini e alla conoscenza con la sorella del papa, marchesa Elisabetta Rossignani Pacelli, Chiara con alcune focolarine e focolarini è ricevuta in udienza semi-pubblica da Pio XII, che affida ai Focolari le “regioni rosse” d’Italia: Emilia-Romagna e Toscana. In effetti il Movimento, là dove opera, ha un certo impatto sui comunisti, come attestano varie testimonianze dell’epoca. In seguito, dietro incoraggiamento di mons. Montini, Chiara scrive al papa per ottenere la revoca del divieto di aprire nuovi focolari. In questo promemoria inviato a Pio XII si parla di otto focolari femminili e cinque maschili, rispettivamente di cinquanta e quarantacinque membri. Oltre che a Roma, sono presenti a Milano, Trento, Firenze, Torino, Parma, Siracusa…
È’ ancora Enzo Fondi a informarci sulla vita di queste piccole comunità agli inizi degli anni Cinquanta: «In appartamenti il cui numero di stanze variava a seconda del numero dei componenti o dell’estro della provvidenza, vivevano da tre a sei persone che durante il giorno lavoravano in fabbriche, scuole ed uffici e alla sera erano a disposizione di una folla di gente che riempiva salotti, sale da pranzo e stanze da letto. Il privato quasi non esisteva, comunque non trovava né tempo né spazio sufficienti per affiorare. Quando la marea degli ospiti si ritirava, non c’era che da mettersi al letto, sperando di dormire qualche ora prima della sveglia, solitamente molto mattutina. Ciò che allora più contava e che rimane sempre il fulcro della vita di focolare son quei momenti, rari e intensi, in cui si rimette a fuoco lo scopo del vivere insieme, ritrovando e approfondendo la comunione fra tutti. Lo sforzo di scuotersi di dosso la polvere accumulatasi nelle ore di lavoro e nei rapporti difficili è vissuto insieme e diviene scambio di esperienze soprattutto sulla Parola del Vangelo vissuta. A volte, si incappa in parole forti e dure da parte di chi ha responsabilità del focolare. Ma la conclusione è sempre la stessa: il ripetersi cioè di quell’incanto che viene da una pace nuova, partecipata da tutti, da una nuova purezza e trasparenza di rapporti.
«Con il crollo delle mura costruite dall’egoismo di ciascuno, anche le pareti della stanza sembrano scomparire. Il frastuono della strada recede, per far posto ad un silenzio in cui finalmente ciò che è più vero e più sacro può far sentire la sua voce. Questa esperienza ripaga di tutte le fatiche di una giornata e dà nuovo vigore per affrontarne un’altra. Ma soprattutto fa esplodere le barriere della grettezza e dell’individualismo, liberando e rivelando la creatura nuova che vive in ciascuno. Allora si è uno, eppure diversi e distinti. Si dimentica l’esiguità del numero e si ha la certezza che tutto è possibile, anche le imprese più ardue.
«La promessa di Gesù di essere presente tra coloro che sono uniti nel suo nome non è una parola consolatoria, bensì un invito a verificarla nella realtà. Nessuna meraviglia dunque se qualcuno, entrando in focolare, venga coinvolto in un gioco dal quale si esce rinnovati e a volte convertiti».
Nell’estate ‘53 si svolge a Tonadico la cosiddetta Chiaropoli, “città della luce”, presenza illustre De Gasperi. Di anno in anno queste convivenze – bozzetti temporanei di società rinnovata dal Vangelo – segneranno uno sviluppo nuovo, una comprensione sempre più profonda della natura dell’Opera.
In novembre circa sessanta tra focolarine e focolarini si consacrano a Dio con il voto di castità perpetua. Per l’occasione, in risposta all’umiltà di Foco, che da esperto di storia ecclesiastica magnifica la sublimità dello stato verginale, Chiara propone anche a lui di suggellare con un voto (poi “promessa”) la sua donazione a Dio. «Foco da quel momento non è rimasto solo – racconterà lei in seguito – ; subito ha avuto i seguaci per questa strada e ricordo che, ancor prima che padre Tomasi morisse, ha potuto offrire, in una maniera tutta diversa dagli altri, ma pure era un’offerta anche forte, una decina dei nostri del terzo ramo sull’altare». E’ il superamento, con l’ammissione a pieni diritti dei coniugati in focolare, della secolare separazione tra vergini e sposati nel cammino di santità.
Visitando la Roma di Chiara: un itinerario
Via Tigrè – Siamo nel cuore del quartiere “africano”. Al n. 1 di questa via soggiornò per un periodo Chiara, al piano attico di un condominio. In questo focolare, nel novembre 1953, in occasione della consacrazione a Dio di una quarantina tra focolarini e focolarine, Igino Giordani magnificò la sublimità dello stato verginale, lui che era sposato e padre di famiglia. In risposta, Chiara spiegò quello che vale: amare e non tanto l’essere vergini o sacerdoti; e propose anche a lui di suggellare con un voto (poi “promessa”) la propria donazione a Dio. Foco divenne così l’apripista di una nuova strada: quella dei coniugati in focolare, avviati in un cammino di santità. Ma sentiamo il racconto di quell’episodio dalla bocca di Palmira, presente alla scena: «Dopo la consacrazione a Dio di questo grosso gruppo di focolarini e focolarine (i voti erano stati formulati nella vicina chiesa di Santa Maria Goretti, durante una messa, presente anche Giordani), siamo tornate a casa e c’era anche Foco. Chiara aveva preso con sé Virgo (Camilla Folonari) in rappresentanza di tutto il gruppo. Eravamo intorno al tavolo della sala da pranzo, forse per prendere qualcosa; oltre a me c’erano Eli, Bruna, Graziella e Natalia. E lì Foco ha magnificato la verginità con parole splendide e sublimi. Chiara gli ha risposto: “Ma perché, Foco, non puoi consacrarti anche tu a Dio, promettendogli di fare tutto per amore? L’amore verginizza, ecc.”. E’ stata una conversazione spontanea, che ha avuto però delle conseguenze, fino ad arrivare alle “promesse” dei focolarini sposati. I voti che si fanno adesso ogni anno, a gruppi, sono un fatto molto normale. Allora, nel ’53, era la prima volta e rimane un fatto speciale e anche straordinario nella storia dell’Opera. Ma per me è ancora più straordinario che in quel giorno è nata con Foco la possibilità della consacrazione a Dio anche dei focolarini sposati». Sempre in questo focolare, nel settembre del 1954, Chiara ebbe alcune intuizioni su un nuovo ordinamento da dare al movimento in continuo sviluppo: come la luce naturale si scinde nei sette colori dell’arcobaleno, così l’amore ha varie espressioni, che possono riassumersi in sette: dall’economia all’apostolato, dalla preghiera alla salute, dall’ambiente allo studio, alla comunicazione. Racconta Marco Tecilla: «L’idea dei colori venne a Chiara in via Tigrè, dopo ave sistemato la casa e assegnato i letti alle pope che erano con lei. Dopo questo lavoro si ritirò in stanza per la meditazione e, aprendo la Bibbia a caso, le vien fuori quella frase della Sapienza: “E la sapienza si è costruita la casa sopra sette colonne”. Rivedendo la sistemazione dei posti letto, vede che le pope erano messe al posto giusto: tre in una stanza, le prime; quattro della seconda stanza: questo a conferma di quanto trovato sulla Bibbia. Appena capito questo, venne a via Capocci dove eravamo noi con Chiaretto e alcuni primi popi, e ci raccontò il fatto. E’ lì che nascono anche gli “schemetti” (resoconto mensile col quale i focolarini danno conto del loro operato secondo i vari aspetti dell’amore, n.d.r.) : infatti Chiara aveva in mano un foglio con su sette colonne corrispondenti ai sette colori». E ancora in via Tigrè, trasferendosi da via Capocci, s’insediarono nel settembre 1957 la redazione e l’amministrazione di Città Nuova, rimanendovi per tutto il 1958 fino ai primi due numeri del ’59; per poi passare in viale Libia n. 189 fino al mese di dicembre.
Santa Maria Goretti – Non molto distante da via Tigré, in via Lago Tana (sempre nel quartiere Africano), sorge questa chiesa dedicata alla giovinetta martire della purezza. Nel novembre 1953 l’edificio – ancora in fase di costruzione – già funzionava come parrocchia quando accolse la consacrazione a Dio di un folto gruppo di focolarine e focolarini. E’ Palmira a rievocare quell’episodio: «Eravamo negli anni bui del Sant’Uffizio e Chiara ad un certo punto ha desiderato che i popi e le pope che non avevano ancora fatto i voti parlassero con padre Tomasi. Ci siamo trovati così nella chiesa di Santa Maria Goretti e circa quaranta fra popi e pope hanno formulato i loro voti durante la messa. Era presente anche Foco. (Questo non toglie che qualche popo o popa, come ad esempio io e la Eli, li facessimo singolarmente: li abbiamo fatti una mattina alla messa e ricordo che non sapevo come fare e dire per formularli. Il fare i voti era già da allora una cosa semplice, normale nella nostra vita, ma per noi focolarini è sempre stata più importante l’unità e Gesù in mezzo). Dopo la consacrazione a Dio con i voti di questo grosso gruppo di popi e pope, siamo tornate a casa con Chiara (vivevo anch’io con lei in via Tigrè, e con me c’erano quel giorno certamente Eli, penso Bruna con Giosi, Graziella e Natalia). Chiara aveva preso con sé Virgo in rappresentanza di tutto il gruppo (che aveva formulato i voti). Eravamo attorno al tavolo della stanza da pranzo, forse per prendere qualcosa, e lì Foco ha magnificato la verginità con parole splendide e sublimi. Chiara gli ha risposto: “Ma perché, Foco, non puoi consacrarti anche tu a Dio promettendogli di fare tutto per amore? L’amore verginizza, ecc.”. I voti che si fanno adesso ogni anno a gruppi sono un fatto molto normale. Allora nel ’53 era la prima volta e rimane un fatto speciale e anche straordinario, se vuoi, nella storia dell’Opera. Ma per me è ancora più straordinario che in quel giorno è nata con Foco la possibilità della consacrazione a Dio anche dei popi sposati». Ma seguiamo, dopo l’invito di Chiara, Igino Giordani. Accompagnato da Marilen, Foco si recò nuovamente nella chiesa dedicata alla santa della purezza per affidare nelle mani di padre Tomasi la sua “consacrazione” a Dio come primo focolarino sposato. Era, per la precisione, il 24 novembre 1953 (da una nota autografa di Foco ritrovata sul retro di una lettera di Bruna Tomasi). Il commento di Chiara: «E, neanche a farlo apposta, era la chiesa di Santa Maria Goretti. Là abbiamo avuto tutti nell’anima questa impressione: la vocazione di quest’anima e di quelle che lo seguiranno sarà un martirio, il martirio che Dio domanda a tutti i cristiani quando dice: “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”».
Via Santa Maria Goretti 23 – Qui ha abitato Carla, la sorella minore di Chiara, dalla metà degli anni Cinquanta fino al 2012 (è morta il 21 agosto a 87 anni). Vedova di Fabio Graziadei, sempre dolce e affettuosa, ogni volta che andavo a farle visita rievocava per me episodi noti o inediti riguardanti la sua giovinezza a Trento e i Lubich. Carla si descriveva come la “mattacchiona di casa”, di una vivacità incontenibile: «Avevo sempre voglia di giocare, scherzare, cantare… E Chiara mi voleva un bene! Mi chiamava “Cuccioletta” perché ero la più piccola. Quando avevo combinato qualcuna delle mie, mi difendeva sempre davanti al papà, persona molto retta ma anche molto severa. Fra l’altro lei mi ha fatto imparare questa bella preghiera: “Gesù, oggi ti offro tutta la mia giornata. Fa’ che sia una continua donazione d’amore. Fa’ che non resti un solo istante lontana da te nel far qualcosa che non sia per te”. Tanti i ricordi sugli inizi dei Focolari. «Noi di casa capivamo che Chiara aveva iniziato qualcosa di suo, un movimento, già dall’andirivieni di ragazze nella casa dove eravamo andati ad abitare dopo quella in via Goccia d’Oro, e più tardi da quelle che si ritrovavano sempre con lei nei rifugi e a piazza Cappuccini, il primo focolare, che però allora si chiamava “la casetta”. E lì ne succedevano di tutti i colori». Come l’episodio di Celeste Di Porto, un’ebrea considerata criminale di guerra perché accusata di aver collaborato con i tedeschi, soprannominata la “Pantera nera”. Una volta uscita da un carcere romano, per sottrarla alle rappresaglie era stata accolta, per richiesta dei coniugi Alvino, nell’appartamento di piazza Cappuccini. «Io l’ho conosciuta, ma Chiara non mi ha detto chi era e che era ricercata. Siccome questa ragazza voleva sempre uscire a passeggio per Trento, un giorno Chiara mi ha chiesto di accompagnarla; ma quando in piazza Fiera ho visto un manifesto con una foto della Pantera, ho capito tutto. A lei è venuta una paura terribile, per cui siamo subito tornate a casa, dove Chiara e la Vitt per non farla riconoscere le hanno fatto tingere i capelli. Ma per quanto le si potessero cambiare i connotati, era talmente bella e vistosa che non si è potuto tenerla nascosta lì non più di un mese». Dopo il matrimonio con Fabio, da Venezia dove lui era ufficiale di marina Carla si trasferì qui nella capitale per stare più vicina a Chiara, che già nel 1948 aveva iniziato l’avventura romana. Tre le figlie: Fabiola, Agnese (Lella) e Luigia (Genny). Mi confidava ancora Carla: «Fino all’ultima sua malattia, Chiara mi ha sempre aiutata in tutto. Mi è stata di grande sostegno specialmente quando è morto Fabio.
(continua)
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