Clericus vagans, oggi mi fermo in un luogo davanti a cui passo da 45 anni e nel quale mai ho messo piede. Come me, più di un secolo fa, dalla Sicilia vi arrivò una ragazza che diede inizio a una delle tante avventure che Roma conosce bene. Era il 4 settembre 1891, la ragazza, Antonia Lalìa, diede vita ad una congregazione di suore Domenicane che ora abitano qui e che da qui partono per tutta l’America Latina e la Russia.
Molto anni prima, nel 1219, da molto più lontano, era venuto san Domenico con i suoi frati. Due anni più tardi, quando si trasferì sull’Aventino, lasciò a san Sisto Vecchio un monastero per le sue Domenicane.
San Sisto Vecchio, che storia straordinaria, millenaria, iniziata nel IV secolo e proseguita tra le più svariate vicende, fino ad essere confiscato dallo Stato italiano per farne deposito di materiale e di carri funebri. Prima ancora, su questo sito, doveva esserci stata una villa romana, a giudicare dai mosaici ritrovati.
Oggi – oltre ad essere sede di una prestigiosa scuola per ragazze – continua ad essere uno scrigno di capolavori d’arte: architetture romaniche, chiostri e torrette medievali, affreschi…
Mi accoglie una giovane suora guatemalteca, a Roma da appena cinque anni e già esperta guida storico artistica. Parla con una vivacità e una freschezza che sembra proprio una romana de Roma.
Iniziamo dal luogo dove un tempo sorgeva la sala capitolare, oggi ricostruita e trasformata in cappella. La suora mi racconta i miracoli del santo avvenuti nel luogo e tramandati da scritti e pitture. Uno riguarda una popolana del posto. Correva l’anno del Signore 1220. Una vicina del convento aveva una grande voglia di ascoltare la parola di Dio. Suo figlio però era molto malato. Decise comunque di recarsi in chiesa a sentire la predica di Domenico lasciando il figlio solo. Tornata a casa lo trovò morto. Disperata lo prese in braccio e corse alla ricerca di Domenico. Si accasciò ai suoi piedi e lo implorò di restituirgli il figlio perso. Il santo la guardò commosso, pianse, pregò intensamente e comandò al bimbo di alzarsi. Il fanciullo sì alzò,completamente vivo e guarito anche dalla malattia e abbracciò la madre.
Passiamo al grande refettorio dove ancora mangiano le suore. Chissà com’era nel 1200 quando avvenne il miracolo dei pani? Quel giorno i frati non avevano più niente da mangiare. Domenico manda due novizi in città per la questua. Ricevono un pane soltanto. Sulla via del ritorno incontrano un povero che chiede loro l’elemosina. I due si guardano e poi danno il pane al povero. Raccontano il fatto a Domenico che dice loro di non preoccuparsi. Si radunano nel refettorio e appaiono due giovani vestiti di bianco che distribuiscono un pane ad ogni frate, per poi sparire? Due angeli, si dicono subito tutti.
Altre storie meraviglio sono affrescate nel chiostro in una trentina di lunette. A mano a mano che la suora me le illustra, una per una, scorre la vita del santo bella e universale come soltanto quelle dei santi sanno esserle
Infine la basilica. Quella antica a tre navate è completamente interrata, emergono appena, a fior di pavimento, i capitelli che sorreggevano le arcate delle tre navate. L’attuale è in restauro e quindi inaccessibile a causa dell’arresto dei lavori per mancanza di fondi, oltre che per le solite imbrigliature burocratiche. Trovo tuttavia il modo di accedere al capolavoro qui celato: gli affreschi due-trecenteschi di Pietro Cavallini nascosti tra vecchie intercapedini… Gli angeli sono inconfondibili, gli stessi, anche se in dimensioni più piccole, di quelli dipinti nella basilica di santa Cecilia. Chissà perché gli piaceva tanto dipingere gli angeli. Forse perché lo portavano in un altro mondo, più vero. Anche producono in me lo stesso effetto. Cavallini ne sarebbe stato contento.
Chissà perché ho dovuto aspettare 45 anni per immergermi in questo mondo d’arte e di storia. Ogni cosa a suo tempo! Si vede che era adesso il tempo. Esco con l’anima dilatata. Non ho visto soltanto un museo, ma una realtà viva, testimoniata dalla freschezza della suora del Guatemala, dalle altre che ho incrociato sorridenti nel chiostro, dai bambini dell’asilo e dalle ragazze chiassose che rientrano a scuola dopo le vacanze.
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