Dialogo del Papa con i membri della Comunità
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1) Mi chiamo Julius. Ho nove anni e mi piace molto partecipare al culto dei bambini in questa comunità. Sono affascinato dalle storie di Gesù e mi piace anche come Lui si comporta. La mia domanda è: che cosa ti piace di più dell’essere Papa?
La risposta è semplice. Quello che mi piace… Se io ti domando cosa ti piace di più del pasto, tu dirai la torta, il dolce! O no? Ma bisogna mangiare tutto. La cosa che mi piace, sinceramente, è fare il parroco, fare il pastore. Non mi piace fare i lavori d’ufficio. Non mi piacciono questi lavori. Non mi piace fare interviste protocollari – questa non è protocollare, è familiare! – ma devo farlo. Perciò cosa mi piace di più? Fare il parroco. E un tempo, mentre ero rettore della facoltà di teologia, ero parroco della parrocchia che c’è accanto alla facoltà, e sai, mi piaceva insegnare il catechismo ai bambini e la domenica fare la Messa con i bambini. C’erano più o meno 250 bambini, era difficile che tutti stessero in silenzio, era difficile. Il dialogo con i bambini… Questo mi piace. Tu sei un ragazzo e forse mi capirai. Voi siete concreti, voi non fate domande campate in aria, teoriche: “Perché questo è così? Perché…”. Ecco, mi piace fare il parroco e, facendo il parroco, quello che più mi piace è stare con i bambini, parlare con loro, e s’impara tanto. S’impara tanto. Mi piace fare il Papa con lo stile del parroco. Il servizio. Mi piace, nel senso che mi sento bene, quando visito gli ammalati, quando parlo con le persone che sono un po’ disperate, tristi. Amo tanto andare in carcere, ma non che mi portino in galera! Perché, parlare con i carcerati… – tu forse capirai quello che ti dirò – ogni volta che io entro in un carcere, domando a me stesso: “Perché loro e io no?”. E lì sento la salvezza di Gesù Cristo, l’amore di Gesù Cristo per me. Perché è Lui che mi ha salvato. Io non sono meno peccatore di loro, ma il Signore mi ha preso per mano. Anche questo lo sento. E quando vado in carcere sono felice. Fare il Papa è fare il vescovo, fare il parroco, fare il pastore. Se un Papa non fa il vescovo, se un Papa non fa il parroco, non fa il pastore, sarà una persona molto intelligente, molto importante, avrà molta influenza nella società, ma io penso – penso! – che nel suo cuore non è felice. Non so se ho risposto a quello che tu volevi sapere.
2) Mi chiamo Anke de Bernardinis e, come molte persone della nostra comunità, sono sposata con un italiano, che è un cristiano cattolico romano. Viviamo felicemente insieme da molti anni, condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore. Che cosa possiamo fare per raggiungere, finalmente, la comunione su questo punto?
Grazie, Signora. Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderLe, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: “Fate questo in memoria di me”. E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia – io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. E’ vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso Battesimo. Quando Lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, Lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il Battesimo. Quando voi pregate insieme, quel Battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con sé stesso e con le poche “luci” teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. “Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue”, ha detto il Signore, “fate questo in memoria di me”, e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, 48enne, sposato, due figli e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla Messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla Cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda Le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la Cena del Signore mi accompagni nella mia strada? E’ un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: “Noi crediamo che il Signore è presente lì. E’ presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?” – “Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…”. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al Battesimo: “Una fede, un battesimo, un Signore”, così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più.
3) Mi chiamo Gertrud Wiedmer. Vengo dalla Svizzera. Sono la tesoriera della nostra comunità e sono impegnata nel nostro progetto per i rifugiati. Porta il nome di “Orsacchiotto” e, con esso, sosteniamo circa 80 giovani madri e i loro figli piccoli, venute a Roma dal Nordafrica. Vediamo la miseria. Cerchiamo di essere d’aiuto. Ma sappiamo, anche, che le possibilità hanno una fine. Che cosa possiamo fare, come cristiani, affinché le persone non si rassegnino o non erigano nuovi muri?
Lei, essendo svizzera, essendo la tesoriera, ha tutto il potere in mano! Un servizio… La miseria… Lei ha detto questa parola: la miseria. Mi vengono da dire due cose. La prima, i muri. L’uomo, dal primo momento – se noi leggiamo le Scritture – è un grande costruttore di muri, che separano da Dio. Nelle prime pagine della Genesi vediamo questo. E c’è una fantasia dietro i muri umani, la fantasia di diventare come Dio. Per me il mito, per dirlo in parole tecniche, o la narrazione della Torre di Babele, è proprio l’atteggiamento dell’uomo e della donna che costruiscono muri, perché costruire un muro è dire: “Noi siamo i potenti, voi fuori”. Ma in questo “noi siamo i potenti e voi fuori” c’è la superbia del potere e l’atteggiamento proposto nelle prime pagine della Genesi: “Sarete come Dio” (cfr Gen 3,5). Fare un muro è per escludere, va in questa linea. La tentazione: “Se voi mangiate questo frutto, sarete come Dio”. A proposito della Torre di Babele – questo forse me lo avete sentito dire, perché lo ripeto, ma è tanto “plastico” – c’è un midrash scritto nel 1200 più o meno, nel tempo di Tommaso d’Aquino, di Maimonide, più o meno in quel tempo, da un rabbino ebreo, che spiegava ai suoi nella Sinagoga la costruzione della Torre di Babele, dove la potenza dell’uomo si faceva sentire. Era molto difficile, molto costoso, perché si doveva fare il fango e non sempre l’acqua era vicina, cercare la paglia, fare l’impasto, poi tagliare, farli seccare, poi farli asciugare, poi cuocerli nel forno e alla fine salivano e gli operai li prendevano… Se cadeva uno di questi mattoni era una catastrofe, perché erano un tesoro, erano costosi, costavano. Se cadeva un operaio, invece, non succedeva niente! Il muro sempre esclude, preferisce il potere – in questo caso il potere del denaro perché il mattone costava, o la torre che voleva arrivare fino in cielo – e così sempre esclude l’umanità. Il muro è il monumento all’esclusione. Anche in noi, nella nostra vita interiore, quante volte le ricchezze, la vanità, l’orgoglio diventano un muro davanti al Signore, ci allontanano dal Signore. Fare i muri. Per me, la parola che mi viene adesso, un po’ spontanea, è quella di Gesù: come fare per non fare muri? Servizio. Fate la parte dell’ultimo. Lava i piedi. Lui ti ha dato l’esempio. Servizio agli altri, servizio ai fratelli, alle sorelle, servizio ai più bisognosi. Con questa opera di sostenere le 80 giovani madri, voi non fate muri, fate servizio. L’egoismo umano vuol difendersi, difendere il proprio potere, il proprio egoismo, ma in quel difendersi si allontana dalla fonte di ricchezza. I muri alla fine sono come un suicidio, ti chiudono. E’ una cosa brutta avere il cuore chiuso. E oggi lo vediamo, il dramma… Mio fratello Pastore oggi ha nominato Parigi: cuori chiusi. Anche il nome di Dio viene usato per chiudere i cuori. Lei mi domandava: “Cerchiamo di essere di aiuto alla miseria, ma sappiamo anche che le possibilità hanno una fine. Che cosa possiamo fare come cristiani, affinché le persone non si rassegnino o non erigano nuovi muri?”. Parlare chiaro, pregare – perché la preghiera è forte – e servire. E servire. Un giorno, a Madre Teresa di Calcutta hanno fatto la domanda: “Ma tutto questo sforzo che Lei fa soltanto per far morire con dignità questa gente che è a tre, quattro giorni dalla morte, che cosa è?”. E’ una goccia d’acqua nel mare, ma, dopo questo, il mare non è più lo stesso. E, sempre col servizio, i muri cadranno da soli; ma il nostro egoismo, il nostro desiderio di potere cerca sempre di costruirli. Non so, questo mi viene di dire. Grazie.
Gesù, durante la sua vita, ha fatto tante scelte. Questa che oggi abbiamo sentito sarà l’ultima scelta. Gesù ha fatto tante scelte: i primi discepoli, gli ammalati che guariva, la folla che lo seguiva… – lo seguiva per ascoltare perché parlava come uno che ha autorità, non come i loro dottori della legge che si pavoneggiavano; ma possiamo leggere chi era questa gente due capitoli prima, nel 23 di Matteo; no, in Lui vedevano autenticità; e quella gente lo seguiva. Gesù con amore faceva le scelte e anche le correzioni. Quando i discepoli sbagliavano nei metodi: “Facciamo che venga il fuoco dal cielo?…” – “Ma voi non sapete qual è il vostro spirito”. O quando la mamma di Giacomo e Giovanni è andata a chiedere al Signore: “Signore, ti voglio chiedere un favore, che i miei due figli, nel momento del tuo Regno, uno sia a destra, l’altro a sinistra…”. E Lui correggeva queste cose: sempre guidava, accompagnava. Ma anche dopo la Risurrezione fa tanta tenerezza vedere come Gesù sceglie i momenti, sceglie le persone, non spaventa. Pensiamo il cammino verso Emmaus, come li accompagna [i due discepoli]. Loro dovevano andare a Gerusalemme ma sono scappati da Gerusalemme, per paura, e Lui va con loro, li accompagna. E poi si fa vedere, li recupera. E’ una scelta di Gesù. E poi la grande scelta che a me sempre commuove, quando prepara lo sposalizio del figlio e dice: “Ma andate all’incrocio delle strade e portate qui i ciechi, i sordi, gli zoppi…”. Buoni e cattivi! Gesù scelse sempre. E poi la scelta della pecora smarrita. Non fa un calcolo finanziario: “Ma, ne ho 99, ne perdo una…” No. Ma l’ultima scelta sarà quella definitiva. E quali saranno le domande che il Signore ci farà quel giorno: “Sei andato a Messa? Hai fatto una buona catechesi?”. No, le domande sono sui poveri, perché la povertà è al centro del Vangelo. Lui essendo ricco si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà. Lui non ritiene un privilegio di essere come Dio ma si è annientato, si è umiliato fino alla fine, fino alla morte di Croce (cfr Fil 2,6-8). E’ la scelta del servizio. Gesù è Dio? E’ vero. E’ il Signore? E’ vero. Ma è il servo, e la scelta la farà su quello. Tu, la tua vita l’hai usata per te o per servire? Per difenderti dagli altri con i muri o per accoglierli con amore? E questa sarà l’ultima scelta di Gesù. Ci dice tanto sul Signore questa pagina del Vangelo. E posso farmi la domanda: ma noi, luterani e cattolici, da che parte saremo, a destra o a sinistra? Ma ci sono stati tempi brutti fra noi… Pensate alle persecuzioni… fra noi! con lo stesso Battesimo! Pensate a tanti bruciati vivi. Dobbiamo chiederci perdono di questo, dello scandalo della divisione, perché tutti, luterani e cattolici, siamo in questa scelta, non in altre scelte, in questa scelta, la scelta del servizio come Lui ci ha indicato essendo servo, il servo del Signore.
A me piace, per finire, quando vedo il Signore servo che serve, mi piace chiedergli che Lui sia il servo dell’unità, che ci aiuti a camminare insieme. Oggi abbiamo pregato insieme. Pregare insieme, lavorare insieme per i poveri, per i bisognosi; amarci insieme, con vero amore di fratelli. “Ma, padre, siamo diversi, perché i nostri libri dogmatici dicono una cosa e i vostri dicono l’altra”. Ma un grande vostro [esponente] ha detto una volta che c’è l’ora della diversità riconciliata. Chiediamo oggi questa grazia, la grazia di questa diversità riconciliata nel Signore, cioè nel Servo di Jahveh, di quel Dio che è venuto tra noi per servire e non per essere servito.
Vi ringrazio tanto di questa ospitalità fraterna. Grazie.
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