Sulle tracce di san Paolo

Itinerari di Oreste Paliotti nei luoghi che ricordano la presenza a Roma dell’apostolo delle genti, uno dei santi più amati da Chiara Lubich

«Paolo rimase due anni interi nella casa che aveva preso in affitto, e riceveva tutti quelli che andavano da lui. Egli annunziava il regno di Dio e insegnava tutto quello che riguarda il Signore Gesù Cristo con grande coraggio e senza essere ostacolato». È la celebre chiusa degli Atti degli apostoli, che lascia interrotto il racconto di Luca alla tappa romana, tacendo le vicende successive. Una brusca cesura dovuta non sappiamo a quale motivo, che però col suo finale “aperto” rende ancora più affascinante questa cronaca dei primi passi della Chiesa nel mondo allora conosciuto. Sarà invece la tradizione successiva a situare durante la persecuzione scatenata da Nerone il martirio di Paolo insieme a Pietro.

Paolo, uno dei più ardenti discepoli di Cristo. Non ci ha lasciato scritti sulla vita e sui miracoli del Figlio di Dio, ma forse meglio degli stessi evangelisti ha saputo renderci il rapporto unico di un innamorato col suo Signore. Cosa dicono del suo soggiorno a Roma (interrotto forse da una puntata in Spagna) le testimonianze storico-archeologiche? È possibile rintracciare nella capitale della cristianità qualche segno del passaggio di questa figura straordinaria, senza la quale sarebbe impensabile la cultura cristiana così come l’abbiamo ereditata?

Non mancano certo a Roma chiese, catacombe e documenti d’arte con immagini dell’apostolo delle genti, successive al tempo in cui visse e operò. Tra le più antiche, quella affrescata in un cubicolo della catacomba di Santa Tecla, sulla via Ostiense: una effige di ricostruzione, è vero, ma importante perché definisce un tipo di rappresentazione poi ripetuto altrove. Qui invece mi limito ad un itinerario che garantisce, entro certi limiti, di calcare i luoghi del Paolo storico: gli stessi percorsi da folle di pellegrini durante l’Anno Paolino del giugno 2008-giugno 2009. Quasi un invito a reimmergersi nei tempi della Chiesa nascente.

Via Appia. Percorrendo il lastricato della celebre arteria iniziata dal censore Appio Claudio Cieco, viene spontaneo ripensare a Paolo. Certamente egli dovette calcare queste pietre allorché, prigioniero dei romani per l’accusa dei giudei, sfinito dopo un viaggio avventuroso via mare e un altro itinerario via terra con tappa a Foro Appio e alle Tre Taverne (dove si colloca l’incontro con alcuni cristiani della comunità romana, destinataria della sua lettera più celebre e ricca di dottrina), giunse sotto scorta e in catene nella Città Eterna. Era l’anno 64. Per inciso, la stazione di posta delle Tre Taverne, dove Paolo fece sosta, è stata recentemente identificata dagli archeologi lungo il tragitto della Regina viarum presso Cisterna di Latina: ecco un luogo certo paolino!

Carcere Mamertino. Sulle pendici meridionali del Campidoglio, in un’area del Foro Romano dove si amministrava la giustizia, scendendo sotto la chiesa seicentesca di San Giuseppe dei Falegnami si visitano i resti del più antico carcere di Roma: il famigerato Mamertino o Tullianum, dove languirono fra gli altri e furono giustiziati Giugurta, Vercingetorige e i complici di Catilina. In questo tetro sotterraneo senza finestre la tradizione vuole che siano stati imprigionati anche gli apostoli Pietro e Paolo. Sul luogo venne costruito l’oratorio di San Pietro in Carcere, uno dei più frequentati dai pellegrini “romei” dell’Alto Medioevo, poi trasformato nell’attuale chiesa.

San Paolo alla Regola. Quest’altra chiesa sorge nel luogo dove, nei primi anni del suo soggiorno a Roma, Paolo sarebbe vissuto agli arresti domiciliari (che però non gli impedirono di evangelizzare). Non a caso si trova in uno dei quartieri abitati dagli ebrei, i primi destinatari della sua predicazione nell’Urbe; quartiere chiamato, a motivo degli acquitrini sabbiosi dovuti al vicino Tevere, “Arenula” (da cui, per corruzione del nome, “Regola”). In epoca medievale vi si insediò la corporazione dei commercianti di pelli, in memoria del mestiere esercitato dall’apostolo, la cui presenza qui confermerebbe indirettamente anche la toponomastica locale: infatti ancora oggi vengono denominate “Case di san Paolo” alcune abitazioni medievali in fondo alla via San Paolo alla Regola. La chiesa, chiamata un tempo “Scuola di San Paolo”, ha origini remote. Ricostruita nel XVII secolo, conserva al suo interno affreschi raffiguranti la Conversione di Saulo e la sua Predicazione e martirio.

Santa Maria in Via Lata. Ancora una chiesa dove sono associate le memorie di Pietro e Paolo. Sorge sull’attuale via del Corso, la centralissima arteria che congiunge piazza Venezia a piazza del Popolo: ricalca il tracciato dall’antica via Flaminia, la via Lata (cioè “larga”) del Medioevo. Sempre la tradizione indica in questo sito il soggiorno dei due apostoli (qui Paolo avrebbe scritto alcune sue lettere), come pure quello di Giovanni e Luca, che nel medesimo luogo avrebbe composto gli Atti degli apostoli. Della primitiva chiesa sono stati ritrovati, in epoca recente, avanzi che risalgono al III secolo. L’attuale, ricostruita alla fine del 1400 con modifiche fino al XVII secolo, s’affaccia sul Corso con la splendida facciata di Pietro da Cortona.

Bassorilievo della Separazione. Al civico 106 della via Ostiense, sulla facciata di un anonimo edificio, quasi non si notano un bassorilievo e un’epigrafe. Ricordano un monumento ivi esistente e ormai scomparso: la cappellina eretta sul luogo dove, secondo la tradizione, gli apostoli Pietro e Paolo si sarebbero separati prima di andare ognuno al proprio martirio, il primo al Vaticano, il secondo sull’Ostiense. Al momento del commiato, Paolo avrebbe detto a Pietro: «La pace sia con te, fondamento della Chiesa e pastore di tutti gli agnelli di Cristo». La risposta di Pietro: «Va’ in pace, predicatore dei buoni e guida di salvezza dei giusti». La chiesetta venne distrutta nel 1915 per ampliare la via Ostiense e per un certo tempo si persero le tracce del bassorilievo, una rozza scultura del tardo Quattrocento; ritrovato, è attualmente custodito insieme all’iscrizione presso il Museo della via Ostiense, nella torre orientale della Porta San Paolo. Questo che vediamo, un calco dell’originale, rappresenta l’abbraccio dei due apostoli secondo l’iconografia tradizionale: Pietro con una folta chioma e la barba arrotondata, Paolo quasi calvo e con la barbetta a punta.

Abbazia delle Tre Fontane. Sorge nel luogo del martirio di Paolo, detto “Acque Salvie”, presso la strada che da Roma portava ad Ostia. Deve il suo nome allo zampillare miracoloso di tre sorgenti là dove la testa dell’apostolo – decapitato in quanto cittadino romano – rimbalzò altrettante volte sulla scarpata. Il martirio si colloca tra il 65 e il 67.In questa meta di pellegrinaggio fin dai tempi più antichi sorse un oratorio, e monaci greci vi impiantarono un cenobio, concesso nel 1138 da Innocenzo II a san Bernardo di Chiaravalle. Dopo anni di abbandono dovuto alla presenza di paludi malariche, nel XIX secolo il sito fu occupato dai trappisti, tuttora presenti. Oltre che dal monastero, l’intero complesso è costituito da tre chiese: Santi Vincenzo e Anastasio, Santa Maria Scala Coeli e San Paolo alle Tre Fontane. Quest’ultima, la più antica, eretta nel V secolo e ricostruita nel 1599 dal Della Porta sul medesimo luogo del martirio dell’apostolo, custodisce al suo interno in tre edicole le fontane miracolose. Tra la prima e la seconda, una colonna viene indicata come quella servita per la decapitazione.

Basilica di San Paolo. Il primo a raccontare di aver visitato le memorie degli apostoli Pietro e Paolo a Roma è il presbitero Gaio, vissuto al tempo di papa Zefirino (III secolo). Così scriveva in polemica con Proclo, seguace dell’eretico Montano: «Posso mostrarti i trofei (monumenti funerari) degli apostoli. Sia che tu vada in Vaticano che sulla strada per Ostia, troverai i trofei di coloro che hanno fondato la Chiesa romana». La basilica che ammiriamo oggi è opera di una ricostruzione ottocentesca. Infatti lo stupendo tempio del 386 – già ampliamento di una primitiva costruzione costantiniana – venne distrutto quasi completamente da un incendio, il 15 e 16 luglio 1823. La basilica sorge poco distante dal Tevere, nella necropoli dove l’apostolo venne sepolto dopo il martirio, luogo divenuto subito oggetto di venerazione. Sotto l’attuale tavola d’altare è visibile una lastra di marmo del IV-V secolo recante l’iscrizione PAULO APOSTOLO MART […]. Recenti indagini hanno rimesso in luce parte del sarcofago contenente le reliquie dell’apostolo. L’orifizio rotondo visibile sulla lastra richiama l’usanza funeraria romana, ripresa dai cristiani, di versare profumi nelle tombe.

Per lo spunto che mi offre, non posso concludere questo itinerario senza tentare un raffronto tra il grande apostolo degli inizi del cristianesimo e una testimone dei nostri tempi: la fondatrice dei Focolari Chiara Lubich. Tali sono, a mio parere, le affinità tra entrambi:

Chiara ha amato molti santi dei quali ha illustrato la figura e il carisma, a cominciare da san Francesco e santa Chiara d’Assisi al tempo in cui era terziaria francescana; ma nei riguardi di san Paolo ha avuto una singolare consonanza di spirito e di missione. Non per niente c’è qualcosa di unico che caratterizza Paolo, cui si deve una parte sostanziale del Nuovo Testamento, ciò che lo mette su un piano diverso rispetto agli altri santi.

Nessuno ha avuto una tensione all’unità come san Paolo, il cui modello era Cristo in cui tutto si ricapitola, le cose del cielo e quelle della terra. E l’unità è il carisma che lo Spirito santo ha affidato a Chiara.

L’apostolo delle genti viene spesso raffigurato con gli attributi del Vangelo e della spada, simbolo della Parola di Dio che penetra fin nel fondo dell’anima. Ed è stato proprio l’amore per la Verità espressa nel Vangelo la passione costante di Chiara, a tal punto da affermare: «Se mi chiedessero: “Ma tu chi sei?”, vorrei rispondere: “Parola di Dio”». In tempi poi in cui questa stessa Parola veniva letta ancora in latino, il commento di Chiara è stato un modo popolare e sistematico di evangelizzazione su larga scala.

Il cosiddetto Trattatello innocuo, una delle prime testimonianze scritte sull’ideale dell’unità, inizia proprio con la citazione di Paolo da Corinzi 4,18: «Giacché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili eterne». E Chiara prosegue: «Fu il punto di partenza del nostro ideale».

C’è un brano di diario in cui lei commenta una frase tratta dalla Lettera ai galati: «Parlando di Gesù, san Paolo scrive: “… e ha dato sé stesso per me”. Ognuno di noi può ripetere quanto dice l’Apostolo: per me. Mio Gesù, se sei morto per me, per me, come posso dubitare della tua misericordia? E se a quella posso credere con la fede che m’insegna che un Dio è morto per me, come posso non rischiare ogni cosa per contraccambiare questo amore?». Il “per me” di san Paolo corrisponde – così mi viene da dire – al “Dio mi ama immensamente, Dio ti ama immensamente” di Chiara: la scoperta da cui ha  preso avvio il Movimento, l’annuncio capace di trasformare ogni esistenza.

Numerose poi le espressioni paoline che la fondatrice dei Focolari ha fatto proprie e hanno illuminato il cammino della sua Opera. Basti pensare a queste: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?… Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio… La speranza non delude… Cercate le cose di lassù… È volontà di Dio la vostra santificazione».

E a proposito di santificazione: come ha illustrato l’esegeta Gérard Rossé, Chiara è all’unisono col pensiero paolino per la sua visione di una santità come “stato” nel quale si è già inseriti con la grazia del battesimo, occorrendo in esso solo crescere e perseverare, e non tanto come risultato finale di un lungo e faticoso sforzo ascetico. E ancora: quando parla di “uomo vecchio” o di “corpo mistico”, o quando esprime la necessità dell’unità di pensiero, è sempre all’insegnamento di Paolo che lei si riferisce.

In tempi preconciliari in cui la carità si era ridotta a sinonimo di elemosina e spesso non si osava formulare la parola “amore” per timore di essere fraintesi, Chiara e i suoi primi seguaci hanno riportato la carità al suo significato originario di essenza stessa di Dio e vita dei suoi figli, così come l’intende san Paolo, che ad essa innalza un inno nella prima Lettera ai Corinzi.

Anche il “farsi uno” insegnato da Chiara ai suoi quale espressione concreta di questa carità è un esplicito richiamo all’apostolo quando scrive: «Piangete con chi piange, rallegratevi con chi è nella gioia…» oppure: «Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno».

Di scritto, prima ancora che venissero stesi i Vangeli, Paolo ci ha lasciato le sue celebri epistole, con le quali ha formato e sostenuto le prime comunità, il più delle volte da lui stesso suscitate. Lettere importanti non solo dal punto di vista teologico, ma anche perché riportano notizie preziose sulla vita delle prime comunità. Allo stesso modo, le lettere che Chiara indirizzava i primi tempi a persone d’ogni età e condizione, per infiammarle del nuovo ideale, sono state l’esca per suscitare i nuovi apostoli dell’unità.

Paolo, che organizza fra le varie comunità una colletta a favore di quella di Gerusalemme, mi fa venire in mente le iniziative con cui, in tempi diversi, Chiara ha sollecitato i suoi ad una comunione dei beni più generosa in modo da sovvenire alle necessità dei meno fortunati, fino all’ispirazione, nel suo viaggio in Brasile del 1991, di una Economia di Comunione.

E ancora a Paolo, infaticabile nel percorrere le strade del mondo allora conosciuto per seminare la buona novella del Vangelo, mi fa pensare Chiara che ha fatto altrettanto nei suoi viaggi nei continenti, finché le forze l’hanno assistita.

Se poi consideriamo il dialogo con le altre culture che caratterizza il Movimento – dialogo emerso col Concilio come un punto fondamentale per il percorso della Chiesa oggi –  non ha forse un precedente anche in san Paolo, che nell’Areopago di Atene osò annunciare Cristo crocifisso e risorto ai disincantati ateniesi, partendo dalla citazione dei loro dèi e poeti?

Ebreo intransigente, formato nella più rigorosa tradizione ebraica, egli, una volta incontrato Cristo, pur senza rinnegare le sue radici, portò la novità dirompente insita nel Figlio di Dio. Similmente, la formazione cristiana di Chiara era delle più tradizionali, conforme all’ambiente trentino del tempo. Ma proprio su quel ceppo è fiorita quella rivoluzione evangelica che sul nascente Movimento ha attirato critiche e sospetti prima del suggello definitivo della Chiesa.

Come san Paolo, Chiara è stata una grandissima comunicatrice: in lei, che ha promosso l’uso dei mass media come strumenti di evangelizzazione, s’ammira quasi una versione al femminile di questo apostolo che, come molti affermano, se vivesse oggi, farebbe il giornalista.

Per venire alle esperienze mistiche, sappiamo che Paolo, sulla via di Damasco, s’imbatté nel Risorto dal quale direttamente ricevette tutto il vangelo, senza bisogno di farsi istruire dagli apostoli a Gesusalemme (salvo poi a cercare in seguito un confronto con loro, come segno di comunione e per conferma sua personale). Da quella esperienza straordinaria che lo trasportò fino al “terzo cielo”, come egli racconta, l’apostolo attinse la forza e la grazia necessarie ad affrontare l’immane sforzo di evangelizzazione con le relative sofferenze fino al martirio.

E Chiara? Sappiamo cosa è stato per lei il cosiddetto “paradiso del ’49”. Da quel periodo di singolari grazie illuminative attingeva tutta la luce, tutta la sicurezza nella guida di un’Opera tanto vasta e complessa.

Dice ancora la sintonia tra i due l’amore esclusivo per Gesù crocifisso. Se dovessi scegliere una frase riassuntiva che esprima compiutamente san Paolo, non esiterei a citare questa, famosa: «Non conosco che Cristo e questi crocifisso». E per Chiara: «Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù abbandonato».

Non a caso, il 18 marzo 2008, i funerali della fondatrice dei Focolari si sono svolti nella basilica romana che custodisce la tomba dell’apostolo delle genti. Per colei che il patriarca Athenagoras I chiamava affettuosamente “Tecla” come l’apostolica collaboratrice di Paolo ricordata dalla tradizione, non poteva esserci luogo più appropriato.

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