Roma, Villa Borghese, 23 aprile 2017
Omelia del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, durante la messa celebrata al Villaggio della Terra
Risuona anche oggi forte e gioioso, l’annuncio della Pasqua. Gesù Cristo, il Crocifisso, è risorto dai morti, “è veramente risorto”.
Si tratta dell’annuncio fondamentale del messaggio cristiano, il centro della nostra fede. “Se Cristo non è risorto è vana la nostra fede e noi siamo da compiangere più di tutti gli uomini”, afferma san Paolo.
E si capisce perché sant’Agostino può dire che “la fede dei cristiani è la risurrezione di Cristo”.
Che Cristo sia morto tutti lo credono, anche i pagani, ma che sia risorto solo i cristiani lo credono. E non è cristiano chi non lo crede.
Papa Francesco in una delle sue prime catechesi definisce la risurrezione di Gesù il cuore della nostra speranza. E della speranza ci parlava soprattutto la seconda lettura della prima lettera di san Pietro Apostolo. Ed è la risurrezione il cuore della nostra speranza perché ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità più grande, alla certezza che il male, il peccato e la morte possono essere vinti.
E questo porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, da affrontarle con coraggio e con impegno.
Allora, cari amici, la prima cosa da fare in questa santa messa, è chiederci con sincerità se noi crediamo veramente alla risurrezione di Cristo. Se ci crediamo fermamente, se ci crediamo con il cuore, come dice Paolo: “Se nel tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, allora sarai salvo”.
Oppure se la nostra fede è, come si dice, all’acqua di rose, per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che ci sembrano più importanti della fede, per una visione orizzontale della vita.
Facciamo tutti questa mattina un piccolo sforzo di riflessione. Può darsi che ci troveremo di fronte ad un magro risultato, cioè una fede nella risurrezione di Gesù debole, fragile, attraversata da tanti interrogativi e da tanti dubbi.
L’importante è che ci sia qualche scintilla di interesse in fondo al nostro animo. L’importante è che non reagiamo qui alla stessa maniera degli ateniesi a san Paolo, che nell’Areopago di Atene aveva predicato della risurrezione di Gesù. Quando sentirono parlare di risurrezione alcuni lo deridevano e altri gli dicevano: su questo ti sentiremo un’altra volta. Una chiusura davvero totale, senza lasciare spazi a nessuna apertura.
Basta invece una scintilla d’interesse. Ma la scintilla d’interesse per le cose di Dio, in fondo è una scintilla di interesse per noi stessi, per la parte più vera, più profonda, più essenziale di noi stessi. Perché l’uomo che si apre a Dio non è più il viandante smemorato che non conosce da dove venga e non ricorda verso dove sta andando, ignorando perché va a lavorare, a soffrire, non è più il vagabondo perso dietro ogni capriccio che cerca di inseguire ogni miraggio, ogni satisfazione effimera, o illusorio piacere, non è più l’egocentrico e solitario privilegiato che vive per se stesso e chiude gli occhi di fronte all’angoscia degli altri. E se c’è questa scintilla non dobbiamo spaventarci per i nostri dubbi. Gli stessi dubbi li avevano gli apostoli, i primi discepoli.
Interessante notare che questi vengono richiamati, puntualmente direi e con insistenza nel racconto dei Vangeli. Marco ad esempio scrive che Gesù risorto apparve prima a Maria di Magdala e poi a due di loro mentre erano in cammino verso la campagna. Ebbene, sia Maria di Magdala che i due, nel vangelo che conosciamo come i discepoli di Emmaus, andarono ad annunciare agli altri, a questi altri che non credettero, tanto è che Gesù li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto alla testimonianza di chi aveva visto Cristo risorto.
Così avviene al momento in cui Gesù ascende al Cielo. Quando lo videro, dice l’evangelista, i discepoli si prostrarono innanzi, alcuni però, dubitavano.
Addirittura si dice che c’è una variante della traduzione che dice ‘tutti dubitavano’. Speriamo che siano solo alcuni e che la maggioranza avesse creduto alla risurrezione di Gesù.
E in Giovanni abbiamo Tommaso. Lo abbiamo sentito appena raccontare: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”.
Quanti dubbi quindi anche tra i più vicini a Gesù. Ma questi dubbi vengono ricordati soprattutto per aiutare, per irrobustire, la nostra fede.
Confermava san Gregorio Magno nei confronti di Tommaso: “L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto di più riguardo alla fede che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti Tommaso è condotto alla fede con il tatto la nostra mente viene consolidata nella fede con il superamento di ogni dubbio”. Grazie a Tommaso noi siamo rassicurati che le apparizioni di Gesù Risorto ai suoi non sono immaginazioni o allucinazioni della loro mente, prodotti della loro fantasia, della loro esaltazione mistica, ma sono incontri con una persona reale, una persona viva, con lo stesso identico Gesù che era stato con loro durante gli anni della vita pubblica, che gli uomini avevano crocifisso e che Dio aveva fatto risuscitato dai morti.
Noi crediamo in base a questa testimonianza.
Siamo tra coloro che sono detti beati perché senza aver visto abbiamo creduto. Questa è l’ultima beatitudine del vangelo. “Beati quelli che crederanno senza aver visto”, non pronunciato sul monte con le altre, ma la più ardita e promettente, quella che è a un passo dalla portata di tutti.
Anzi più si allunga il tempo da quella prima pasqua, più ci vogliono anime pure, sfavillanti, così luminose che da mettere da parte i sensi, quei cinque sensi che tanto assomigliano a ai portinai diffidenti, e abbandonarsi alla fede.
Mi auguro fratelli e sorelle che ciascuno di noi sia questa anima pura e sfavillante, questa anima luminosa, che può compiere questo cammino di fede, di arrivare alla professione di fede che è la più alta di tutto il vangelo, pronunciato dall’incredulo Tommaso: “Signore mio e Dio mio”.
Vorrei ricordare un segno della risurrezione che è proprio la comunità nata dall’esperienza di Gesù risorto, la comunità cristiana. La Chiesa di essa, tratta dalla prima lettura degli Atti degli Apostoli, ci ha mostrato i tratti ideali: una chiesa che persevera negli insegnamenti degli apostoli, nell’amore fraterno, che si traduce soprattutto nell’andare incontro alle necessità dei più bisognosi, nella celebrazione dell’eucaristia, e nella preghiera.
La Chiesa deve sempre ispirarsi e confrontarsi su di essi. Essi deve sempre tradurre nelle diverse epoche e contingenze storiche per essere la comunità del risorto, per essere segno e trasparenza di comunione. E credo che il Movimento dei Focolari si ispira a questa visione della Chiesa, che è semplicemente la Chiesa. È patrimonio dei Focolari ed è patrimonio di tutta la Chiesa, ma voi volete sottolineare in beneficio di tutta la Chiesa proprio questa dimensione di comunione, che si costruisce attorno al Signore Risorto e si manifesta nell’amore fraterno.
Oggi siamo qui a partecipare alla santa Messa all’interno delle celebrazioni italiane della Giornata mondiale della Terra. Un tema specifico su cui intendono focalizzarsi che è quello del dialogo interculturale e interreligioso per la pace.
Anche attraverso l’impegno su questi due fronti, che sono fronti di grande attualità, la Chiesa vuole testimoniare al mondo la attualità della risurrezione del Signore.
“Pace a voi” è il saluto con cui Gesù si rivolge ai suoi apostoli quando appare in mezzo a loro. Un saluto ripetuto due volte, che diventa dono e impegno: “Pace a voi”. Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium ha ribadito che il dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo e per tanto un dovere per i cristiani come per le altre comunità religiose.
Nel senso ancora più largo, il dialogo come atteggiamento e come metodo, occupa un posto centrale nel pensiero del Papa nella sua più vasta accezione, dentro e fuori la Chiesa, con le persone e le istituzioni, nella convinzione che dove si dialoga con rispetto e con simpatia verso l’interlocutore si riceve luce nella propria ricerca della verità e della fraternità.
E sul tema della terra non occorre che aggiunga altro perché già gli interlocutori che hanno parlato prima hanno fatto riferimento alla Laudato si’ sulla cura della casa comune.
Cito soltanto alcuni passi del n. 2: “Questa nostra sorella, la terra, protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. La violenza che c’è nel cuore umano, ferito dal peccato, si manifesta nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi (…). Ma Gesù risorto ha dato alla sua Chiesa proprio il potere contro il peccato che è all’origine di tutti questi disordini”.
E noi cristiani dobbiamo dirlo, che alla radice ci sta questo male fondamentale, questo inquinamento dei rapporti nei confronti di Dio, di noi stessi, degli altri, del creato. Gesù risorto ha dato alla sua Chiesa il potere contro il peccato: “A coloro a cui perdonerete i peccati li saranno perdonati; coloro a cui non perdonerete i peccati non saranno loro perdonati”. E quindi questa vittoria sul peccato si manifesterà anche come atteggiamento nuovo nel confronto del creato, come promozione di un’ecologia integrale vissuta con gioia e autenticità sull’esempio di san Francesco d’Assisi, secondo le parole che papa Francesco ha pronunciato in questo stesso luogo l’anno scorso, la parola chiave per andare con gli altri a trasformare ‘questo deserto diventi in foresta’.
Continuate cari amici ad impegnarvi in questa direzione, perché vale la pena lavorare per la custodia del creato. Anche il più piccolo sforzo non va perduto. Perché se al momento non vediamo ancora gli effetti della risurrezione del Signore, però sappiamo una cosa. Ci troviamo come tra due campi di gravitazione: da una parte il bene e da una parte il male, ma da quando Cristo è risorto la gravitazione dell’amore è più forte di quello dell’odio, da quando Cristo è risorto la forza di gravità della vita è più forte di quella della morte.